lunedì 27 maggio 2013

Comunicare sui social: cosa funziona davvero?

Il social media marketing è ormai adottato in massa da molti operatori. Ma comunicare in modo davvero efficace non è da tutti. Ecco alcuni spunti.

“Ho aperto una pagina Facebook”, oppure “Ho attivato un account Twitter”. Quante volte capita di ascoltare operatori che ci comunicano, soddisfatti, di essersi lanciati nel mondo del social media marketing, convinti che “basti esserci” per accogliere chissà quali fantastici frutti. Beh, non è così. Perché (e lo sa bene chi fa social marketing da tempo) per ottenere like o follower occorre tempo, e perché una comunicazione efficace e coinvolgente non è affatto scontata.
Innanzitutto, chi apre un canale promozionale sui social, ha come primo obiettivo quello di fare numero: senza persone che ci leggono, è inutile che promuoviamo la nostra struttura. Qui tuttavia risiede il primo, grande errore in cui si può cadere: le persone non sono numeri. Chi sceglie di seguirci, con un like o con un follow, va poi accudito con attenzione giorno dopo giorno, pena il rischio di perderlo. Che fare dunque? Innanzitutto, occorre avere chiaro in testa chi è la nostra platea. Evitare assolutamente, quindi, di pubblicare contenuti troppo generici, banali o scontati. In secondo luogo, domandarsi: cosa si aspettano le persone che ci seguono? Di cosa hanno bisogno? Se le risposte più specifiche a queste domande dipendono ovviamente dal contesto in cui ognuno opera, ci sono comunque alcune regole generali. Le persone, sui social network così come nella vita reale, hanno bisogno di sentirsi amate, ascoltate, accudite: hanno bisogno, insomma, di qualcuno che si prenda cura di loro. Ecco perché è importante, ancor più che parlare, stare ad ascoltare. Se un cliente scrive sulla bacheca della struttura per un’informazione, è fondamentale rispondere nel minor tempo possibile in maniera gentile, informale, precisa. Le persone hanno poi bisogno di divertirsi e di ridere, e di sentirsi valorizzate. Siate arguti, ironici, spiazzanti: il pubblico apprezzerà.
Fondamentale, poi (non ci stancheremo mai di ripeterlo), non dare vita ad una comunicazione istituzionale come quella del sito. La gente non va sui social per essere bombardata di pubblicità, ma per comunicare con altre persone. Bisogna essere spontanei, suonare umani. Fate domande, stimolate la curiosità delle persone, spingetele ad interagire. Una bacheca o un account vivo, brulicante di interazioni, è il miglior segnale di una comunicazione che funziona.
Infine: essere utili. Fornire informazioni interessanti per chi ci segue, è ovviamente un ottimo modo per catturarne l’attenzione. Molti ristoranti condividono i propri menu, o i piatti della settimana o del mese. Perché poi non pensare di fornire indicazioni sugli eventi che si svolgono in zona nel week end? Un nostro follower appassionato di auto storiche potrebbe non avere in programma di venire a trovarci a breve, ma se gli comunichiamo che si svolgerà un raduno di auto classiche, potrebbe cogliere la palla al balzo e prenotare.
La comunicazione social richiede tempo, passione, co
stanza, prove ed esperimenti. Ma è l’unico sentiero da percorrere se si vuole davvero cogliere le opportunità (notevoli) del social media marketing.

Raccontare per immagini: il visual storytelling

I contenuti visuali sono sempre più al centro di una strategia comunciativa efficace. Ecco alcuni consigli.

Di Storytelling si fa, da un po’ di tempo a questa parte, un gran parlare. Il concetto, in realtà, è antico quanto il marketing stesso, ma ha ricevuto nuova linfa vitale dal diffondersi dei social e del web 2.0: comunicare contenuti e promuovere la propria attività attraverso racconti, è un modo efficace per attirare l’attenzione dei clienti, o potenziali tali.
Tutto ciò non può però prescindere da un’altra considerazione: il ruolo sempre più centrale della comunicazione visuale. Nell’era dei social network, l’abbiamo già ribadito più volte qui, i contenuti virali sono quelli che suscitano emozioni; ed è difficile pensare a qualcosa di più evocativo di un’immagine azzeccata. In un’epoca di comunicazioni rapide, spezzettate, le immagini colpiscono all’istante, parlano un linguaggio universale.
Se a ciò si aggiunge la diffusione ormai capillare degli smartphone, che consentono di scattare fotografie e pubblicarle sui social un attimo dopo, ecco che il gioco si fa intrigante (e remunerativo per la nostra attività, se ben gestito). Ma quali sono gli strumenti che il web mette a disposizione dei gestori di strutture per fare visual storytelling?
Innanzitutto ci sono i portali storici di condivisione di album fotografici, come Flickr e Picasa (quest’ultimo sempre più integrato con Google+), che continuano ad avere un significativo bacino di utenti: chi è abituato ad usarli, evidentemente, ci si trova bene e continua a farlo. Potrebbe essere un buon motivo per aprirci un account e pubblicarvi album con i racconti visuali di ciò che accade nella nostra struttura.
Ma soprattutto, oggi, esistono veri e propri social network dedicati alla condivisione di contenuti visuali. I primi due, per importanza, sono sicuramente Pinterest (di cui abbiamo parlato qui ) e Instagram (qui ). Riguardo al secondo: la gente, si sa, ama condividere immagini di piatti. Alzi la mano chi non ha mai fotografato e condiviso ciò che stava mangiando in un locale. Le persone sono poi incuriosite dal dietro le quinte: cercano scatti che raccontino ciò che accade in cucina, oppure i segreti di una ricetta. A tal fine, può essere molto utile ricorrere alla tecnica del collage: unire più immagini è un ottimo modo per fare visual storytelling e comunicare contenuti di valore, come il procedimento per la preparazione di un piatto. App come picframe o frametastic aiutano nella creazione di collage.
Riguardo a Pinterest, occorre innanzitutto ricordare come sia il social più “femminile” del web, e si sa che a decidere la meta del prossimo week end sono spesso e volentieri proprio le esponenti del gentil sesso. Il valore aggiunto di questo social network risiede nel fatto di poter creare più boards (bacheche), e di poterle categorizzare in modo molto specifico mediante l’uso di parole chiave ed hastag. Perché non pensare, per esempio, di creare, oltre alla bacheca per i piatti, quella per le camere, per il personale, per i fornitori (sì! Far vedere i volti di chi ci fornisce il pane e la verdura fresca o i formaggi può essere un ottimo modo di comunicare che siamo attenti alla qualità delle materie prime) o per gli eventi (quale miglior modo di raccontare una serata a tema, se non tramite una serie di scatti?).
Insomma, le potenzialità sono infinite. Non resta che sperimentare, innovare, provare.

martedì 21 maggio 2013

Promuoversi su Instagram

Ormai da tempo è una delle app cult, di quelle che non possono mancare sui desktop degli smartphone. Ecco come utilizzare il social delle foto stile Polaroid per promuovere la propria attività

Oltre 100 milioni di utenti attivi al mese, 40 milioni di nuove foto al giorno, mille commenti al secondo. Sono i numeri di Instagram, il social network che permette di applicare una serie di filtri alle foto scattate dal proprio smartphone, per renderle in qualche modo vintage e simili alle vecchie immagini catturate con le Polaroid (infatti il formato è rigorosamente quadrato), e consente quindi di pubblicare e condividerle con i propri contatti (o con gli amici di Facebook, che di Instagram è proprietario dall’anno scorso).
Numeri senza dubbio importanti, ma che soprattutto fanno emergere come Instagram sia uno dei prodotti più felici del matrimonio tra mondo social e mobile: se gli smartphone e la possibilità di essere sempre connessi sono stati un grande incentivo per lo sviluppo dei social network, la possibilità di usarli per scattare foto e condividerle è una delle caratteristiche più apprezzate ed utilizzate dagli utenti. Il plauso al team di sviluppatori di Instagram è quindi d’obbligo. Ma come sfruttare al meglio le risorse e le potenzialità di questo social, per promuovere la propria attività? Se si gestisce una struttura che ha a che fare con il mondo della ristorazione, possiamo dire che i giochi sono in qualche modo facilitati: la gente ama vedere fotografie di piatti. Scattare belle immagini di piatti fumanti che escono dalla cucina, e pubblicarle su Instagram applicando gli appositi filtri che servono a renderle più accattivanti, è un ottimo modo per attirare l’attenzione della community e guadagnare visibilità. Ancora meglio, però, è comunicare ai propri clienti in sala che la struttura è presente su Instagram con un proprio account e che quindi, se fa loro piacere, possono seguirci per “gustare con gli occhi”, dal proprio smartphone, i nostri piatti, anche quando sono lontani. E’ la cosiddetta promozione off line, e va fatta sia mediante appositi cartelli (classica la scritta seguici su Instagram, con il logo del Social Network e magari un QR Code che rimanda direttamente al nostro account), sia a voce!
Oltre ai piatti, la gente ama vedere i volti, le persone che animano una struttura. Fate quindi foto del personale di cucina, dello chef mentre è intento a spadellare, di un volto sorridente alla reception: aiuterà chi vi segue a percepire la struttura come più umana e meno commerciale: nel mondo dei social e della comunicazione 2.0, un bel passo avanti.
Ovviamente, anche invitare, con garbo e simpatia, i clienti a scattare fotografie dei nostri piatti e della nostra struttura e a pubblicarle sul loro profilo Instagram , o a condividere le nostre immagini, è un buon modo per guadagnare visibilità.
Infine, anche Instagram, come Twitter, utilizza gli hastag (#). Può essere utile crearne uno ad hoc, magari del tipo #nomeristorante, per catalogare e raggruppare tutte le fotografie che riguardano la struttura.
Insomma: se vi piace fotografare, vi piacciono i social, vi piace comunicare e promuovervi in modo informale e molto 2.0, Instagram è il luogo ideale dove dare libero sfogo alla propria fantasia.

Pubblicità su Twitter: guida rapida

Da qualche tempo Twitter offre a tutti l’opportunità di promuovere la propria attività. Ecco come funziona.
I trend di crescita indicano Twitter come il social network più vivo ed in fermento del web, amato dai giovani e da chi è alla ricerca di una comunicazione rapida, concisa, calibrata per il mobile (ne abbiamo già parlato qui ). Fino ad un po’ di tempo fa, la possibilità di fare pubblicità su social dei cinguettii era riservata alle grandi aziende. Ma proprio per cavalcare l’onda del successo, ora gli sviluppatori offrono a chiunque la possibilità di promuovere la propria attività. Vediamo come funziona.
Twitter offre sostanzialmente tre modalità per promuoversi: i promoted account, i promoted tweet, i promoted trends.
Nel primo caso, si tratta di aumentare la visibilità di un determinato account, al fine di guadagnare follower. Tecnicamente, l’account sarà visualizzato dagli utenti nella sezione “chi seguire”: si trova a sinistra nella pagina, ed offre una serie di consigli su account che il sistema reputa interessanti da seguire in base agli interessi ed ai gusti di ogni singolo utente. E i costi? Quelli di Twitter si sono inventati il CpF, Costo per Follower: impostato il budget complessivo e giornaliero, l’inserzionista può indicare l’importo che è disposto a spendere per ogni nuovo follower acquisito. Importo che viene addebitato ogni volta che, appunto, un nuovo follower si aggancia all’account sponsorizzato. Come in ogni campagna pubblicitaria, anche qui gioca ovviamente un ruolo fondamentale la targettizzazione dei destinatari: oltre a quella che possiamo definire classica, anche in questo caso gli sviluppatori di Twitter se ne sono inventata una particolare, denominata “per affinità”: si tratta di indicare una serie di altri account, ritenuti in qualche modo affini a quello che si intende promuovere; saranno quindi i follower di quegli account a visualizzare nell’apposita sezione il consiglio di seguire anche quello dell’inserzionista.
I promoted tweet sono invece normali cinguetti, sponsorizzati per raggiungere una platea più vasta, guadagnare visibilità, ottenere retweet, aggiunte ai preferiti, risposte, e quindi nuovi follower. Sono facilmente distinguibili dai tweet standard perché sono contraddistinti da una freccia gialla in basso a sinistra, seguita dalla frase “sponsorizzato da”. I promoted tweet possono comparire nella pagina delle ricerche, per determinate parole chiave, o direttamente nella timeline degli utenti. La modalità di pagamento è denominata CpE, ovvero Costo per Engagement: si paga per ogni interazione (menzione, retweet, aggiunta ai preferiti) ottenuta. In questo caso più che mai, ovviamente, assume un ruolo chiave la targettizzazione dei destinatari: fondamentale, in particolare, la scelta delle parole chiave da utilizzare, in base a specifiche aree di interesse.
I promoted trends, infine, sono hastag sponsorizzati, ovvero argomenti, aree di discussione raggruppate sotto il cappello del simbolo #. Anche i promoted hastag sono contraddistinti dalla freccia gialla e dalla dicitura “sponsorizzato da”. Compaiono nell’apposita sezione dedicata alle tendenze del momento, nella colonna a sinistra della Time Line.
Il sistema, infine, è corredato della sezione Analytics, che consente all’inserzionista di monitorare l’andamento della propria campagna. Insomma, non resta che sperimentare la nuova feature di Twitter: funzionerà?

lunedì 13 maggio 2013

Facebook: arrivano gli spot pubblicitari


In arrivo nei prossimi mesi i primi video commerciali. Obiettivo: massimizzare i profitti
Fare più profitti, si sa, è l’obiettivo di Zuckerberg e soci, specie da quanto Facebook è quotato in borsa. E allora, dopo l’introduzione dei post a pagamento e degli altri contenuti per portare gli avvisi commerciali anche sui dispositivi mobile, ecco che spuntano gli spot pubblicitari. Ad annunciarlo e il Financial Times: i primi video proporzionali dovrebbero comparire quest’estate. Partiranno automaticamente al caricamento della home page, ma senza audio. Sarà facoltà dell’utente, se lo vorrà, alzare il volume.
Le statistiche per il mercato USA dicono che ogni anno le aziende spendono 4 miliardi di dollari in filmati promozionali destinati al web 2.0, e la tendenza è in crescita: secondo le stime, nel 2013 il budget destinato alla web advertising aumenterà del 41% rispetto all’anno precedente. Ecco perché gli uomini del social network in blu hanno deciso di puntare sui video.
I ricavi dalle inserzioni pubblicitarie di Zucherberg e soci sono in continuo aumento: 1,25 miliardi di dollari nell’ultimo bilancio trimestrale, con un incremento del 43% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma agli uomini di Facebook non basta, ed ecco quindi gli spot ad auto-play incorporato.
La soluzione, tuttavia, potrebbe comportare dei rischi. Secondo alcuni analisti, le inserzoni pubblicitarie invasive su Facebook sono il principale motivo della fuga di utenti registrata recentemente negli Stati Uniti: secondo la società di ricerca Nielsen, 10 milioni di persone nell’ultimo anno, 1 milione nel Regno Unito (ma il numero di iscritti su base mondiale è in continuo aumento grazie all’espansione nei Paesi in via di sviluppo). Come la prenderanno quegli utenti particolarmente sensibili ai temi come la privacy e lo  sfruttamento dei dati personali a scopi commerciali, quando al caricamento della bacheca partirà automaticamente uno spot pubblicitario (rigorosamente targettizzato)? E soprattutto, cosa può comportare questa nuova opportunità per una struttura turistica, e per il suo modo di fare campagne pubblicitarie su Facebook?

Mobile e ricerche Local: il punto della situazione

Tutte le statistiche indicano il fenomeno come il continua crescita, ma l’Italia è ancora indietro

Il tema è stato al centro del Digital Festival di Torino, lo scorso 8 maggio: la “mobile revolution” e il modo in cui le attività commerciali, anche e soprattutto turistiche, interagiscono con i (potenziali) clienti.
Un po’ di statistiche aggiornate. In Italia, nell’ultimo anno, il numero dei possessori di smartphone è passato da 21 a 26 milioni: quasi un italiano su due. Di questi, soltanto il 9,8% utilizza il proprio smartphone unicamente per le chiamate, mentre la grande maggioranza lo usa anche per gli altri contenuti: accede ai social network come Facebook e Twitter, utilizza servizi di chat come Whatsapp, cerca news, informazioni meteo, gioca e consulta la propria e mail. E per quanto riguarda le ricerche locali? Secondo le ultime statistiche, il 56% dei possessori di smartphone effettua ricerche locali almeno una volta la settimana, il 22% almeno una volta al giorno. Il 55% di queste persone contatta la struttura in seguito alla ricerca, mentre il 61% ne visita il sito web ed oltre il 30% effettua un acquisto in seguito al primo contatto. Ma il dato forse più interessante riguarda quel 45% di ricerche effettuate specificatamente per trovare informazioni rilevanti su un possibile acquisto finale. Qui sta tutta l’importanza (e la rivoluzione) delle ricerche social: mentre chi consulta il sito di una struttura turistica da pc, lo fa spesso senza avere realmente intenzione o bisogno di prenotare immediatamente, chi effettua una ricerca da mobile mentre si trova nei pressi di quella stessa struttura, lo fa perché ha un bisogno concreto di contattarla per chiedere informazioni, prenotare o acquistare.
Negli Stati Uniti, a tale riguardo, sono ormai molto utilizzati i messaggi pubblicitari fortemente geolocalizzati (visibili in un raggio inferiore alle due miglia) è i risultati sono molto positivi. Ovviamente, il sistema si basa sulla disponibilità, da parte dell’utente (e potenziale cliente) ad essere geolocalizzato: in Italia esiste ancora una certa diffidenza rispetto all’idea di fornire informazioni sulla propria posizione. Tuttavia, tornando agli Stati Uniti, le stime indicano che entro i prossimi tre anni gli investimenti pubblicitari geolocalizzati supereranno il 50% del budget complessivo destinato al marketing.
Sono dati che fanno riflettere e che portano chi gestisce una struttura turistica (ma non solo) a farsi una serie di domande: la mia struttura è pronta per raccogliere le opportunità offerte dal mobile? Il mio sito web è visitabile da smartphone? E’ semplice contattarmi, per chi arriva sul mio sito mobile (o sulla mia app)? Qual è la mia reputazione on line? Sono abbastanza social?
Rispondere a queste domande, e attivarsi laddove opportuno, potrebbe essere un modo per aiutare, almeno un po’, il comparto turistico italiano a recuperare parte del terreno perduto.

lunedì 6 maggio 2013

Misurare la maturità digitale di una struttura: ecco il NEC

Uno studio della Cornell University di Itacha, New York, ha sviluppato un indice per capire quanto le attività on line sono in grado di sfruttare le opportunità della Rete.

Dall’avere un semplice sito-vetrina statico, allo sfruttare appieno le potenzialità del web 2.0 (recensioni on line, comunicazione social, storytelling, brandizzazione, etc) ce ne passa. E tra i due estremi, ci sono tutte le possibili sfumature intermedie. Sono partiti da questa semplice constatazione gli studiosi della Cornell University di Itacha, stato di New York, per elaborare il loro Network Exploitation Capability: si tratta di un indice in grado di misurare il livello di raffinatezza nelle attività on line, ovvero la capacità di sfruttare appieno le opportunità offerte dal web 2.0. Con 3 finalità fondamentali: generare domanda, fare distribuzione multicanale e migliorare la revenue.
Alla Cornell University hanno individuato 5 livelli di NEC: dal basic all’ottimizzato. Al primo livello si collocano le strutture turistiche che svolgono attività digitali in modo sporadico e non organizzato. Al secondo, quelle che svolgono attività per tutte le tre finalità fondamentali, pur mantenendole separate. Al terzo, quelle che sviluppano invece le varie attività in maniera organica. Al quarto, si collocano le strutture che eseguono un’attenta attività di raccolta ed analisi dei dati, al fine di confrontarli con i risultati ottenuti ed ottimizzare questi ultimi tramite test ed esperimenti. Al quinto livello, infine, si collocano le strutture turistiche nelle quali l’insieme delle attività digitali avviene in maniera istituzionalizzata e segue un processo continuo di ottimizzazione.
Ma in base a quali parametri gli studiosi assegnano un determinato livello ad una struttura? Alla Cornell University hanno individuato una serie di 45 comportamenti e 45 quesiti da porre al gestore, al fine di determinarne il NEC. Dal controllo della rate parity su differenti canali, all’atteggiamento tenuto di fronte alle recensioni on line, ogni comportamento viene monitorato e misurato. Per ogni attività si cercano inoltre di analizzare due parametri: la regolarità e la rigorosità con le quali si agisce. Una volta ultimato il test, il modello fornisce dei benchmark di riferimento con cui confrontare i propri risultati ed ottenere di conseguenza suggerimenti su dove intervenire per conseguire dei miglioramenti.
E’ attualmente allo studio un modulo da compilare direttamente on line, che sia in grado di fornire i risultati in maniera totalmente automatizzata. Per il momento, tuttavia, è solamente possibile registrarsi presso il portale della Cornell University, e scaricare il documento con il test. Lo si può fare qui.
Effettuare il test in maniera rigorosa e sincera costituisce senza dubbio un modo molto intelligente per fermarsi a riflettere sull’insieme delle proprie attività on line, e capire dove è possibile eventualmente migliorare in maniera sostenibile e compatibile con la natura della propria struttura.

Google Adwords e Google+, sempre più integrati

Diversi indizi suggeriscono che il sistema di inserzioni pubblicitarie di Google va verso un’integrazione sempre più spinta con il motore di ricerca

La notizia è stata lanciata direttamente sul blog ufficiale di Adwords  con questo esempio:


Di cosa si tratta? A prima vista, sembrerebbe una normale inserzione pubblicitaria. Ad un’occhiata più attenta, però, si può notare qualcosa di nuovo. Nell’ultima riga, infatti, compare un rimando alla pagina Google+ della celebre bevanda energizzante, ed al numero dei follower che la medesima pagina vanta. Non vi ricorda molto da vicino i concetti su cui si basano le Facebook Ads, come la riprova sociale? Constatare che un grande numero di utenti segue quella pagina, spinge chi visualizza l’inserzione a ritenere che valga la pena farlo a propria volta. Da lì a cliccare sulla parte bassa dell’inserzione, atterrare sulla pagina ufficiale Google+ ed iniziare a seguirla, il passo è breve. Ed il tutto è perfettamente in linea con i dettami della comunicazione social, qui estremanente integrati con il sistema delle Ads.
Google le chiama Annotazioni Social. Chiunque può iniziare da subito ad utilizzarle? Diciamo che, per il momento, a Mountain View hanno posto, comprensibilmente, alcuni paletti, dei requisiti che occorre rispettare per potere accedere al sistema. Innanzitutto, com’è logico, occorre avere una campagna Adwords attiva ed una pagina Google+ aperta. La seconda, inoltre, deve possedere un URL verificato e corrispondente all’URL dell’annuncio. La pagina deve poi soddisfare altri requisiti per poter accedere al sistema delle Annotazioni Social: post recenti (in modo da dimostrare di essere regolarmente attiva al di là della campagna pubblicitaria), considerati di elevata qualità in base ad una serie di standard stabiliti dal sistema, e deve infine contare almeno 100 follower.
Se tutti i requisiti sono soddisfatti, per ottenere le Annotazioni Social è sufficiente gestire la voce “estensione degli annunci” nel sistema Adwords. A questo punto sorge spontanea una domanda: i costi? E qui Google riserva una piacevole sorpresa: l’utente che clicca sull’annotazione social, nella parte inferiore dell’annuncio, ed atterra quindi sulla pagina Google+ corrispondente, non ci fa spendere un centesimo. Continueremo a pagare, esattamente come prima, soltanto per i click sull’inserzione vera e propria.
Insomma, il tutto appare estremamente interessante, soprattutto in chiave futura. E’ infatti evidente, e lo abbiamo ricordato più volte, come Google+ non goda al momento di grande popolarità da parte degli utenti. Ma una serie di novità  e soprattutto quest’ultima, notevole innovazione delle annotazioni social suggeriscono che presto le cose cambieranno. E come sempre, chi primo arriva…