lunedì 26 maggio 2014

Booking e le recensioni: cosa cambia


E’ ora possibile rispondere alle recensioni, ma serve il consenso dell’utente che le ha scritte

Anche Booking si piega alle logiche della rete e si allinea agli altri colossi, come Tripadvisor: anche sul portale leader nelle prenotazioni on line è infatti ora possibile, per i gestori di strutture ricettive, rispondere alle recensioni.
C’è però una clausola singolare, che fa storcere il naso a molti addetti ai lavori: la possibilità di replica deve essere concessa dal recensore. Ovvero, se l’utente che ha scritto la recensione non concede all’albergatore la facoltà di rispondere, non c’è nulla da fare (anzi, da scrivere).
Una particolarità che non convince, perché conserva una profonda disparità di diritti a svantaggio dei gestori delle strutture e a vantaggio degli utenti. Che, ricordiamo, hanno anche la facoltà di nascondersi dietro l’anonimato.
Oltre a questa clausola, le repliche devono sottostare alle linee guida del portale. Vengono quindi vagliate dallo staff di Booking prima di essere pubblicate. Nel dettaglio, non verranno messi on line i commenti che:
- Contengono un linguaggio inappropriato, offensivo o discriminatorio
- Invitano gli ospiti a prenotare contattando direttamente la struttura
- Offrono sconti sulle prossime prenotazioni o l’adesione a un programma fedeltà
- Forniscono dati personali (tuoi o dell’ospite) come ad esempio numero di telefono o indirizzo e-mail
- Citano il cognome dell’ospite, per motivi di privacy
- Citano il nome e/o il cognome del cliente, in caso di recensione anonima
- Fanno riferimento a un sito concorrente (come Tripadvisor, Expedia, AirBnB, ecc.)
- Contengono critiche nei confronti di Booking.com
In conclusione, il diritto di replica su Booking è senza dubbio un passo avanti verso la parità di diritti. Anche se il fatto che sia subordinato all’approvazione da parte del cliente da un lato, e la possibilità di anonimato da parte del secondo dall’altro, costituiscono limiti che prima o poi andranno superati.





Rate Parity: presto un ricordo?

Il CEO di Expedia Dara Khosrowshahi rivela: presto diventeremo molto più flessibili sui prezzi delle strutture.

La Rate Parity è sempre stata un pilastro fondamentale su cui le OTA hanno retto il proprio successo: vincolare le strutture a mantenere le stesse tariffe pubblicate dal portale è infatti un modo per evitare sconti e agevolazioni alla clientela e, quindi, la prenotazione diretta.
D’altro canto, tuttavia, è sempre stato chiaro a tutti che si tratta di una clausola facilmente aggirabile. Soprattutto sui social, dove il contatto diretto tra struttura ricettiva è molto diffuso, e soprattutto dinamico e difficile da monitorare.
Per questo Dara Khosrowshahi, CEO di Expedia, in un’intervista pubblicata dalla CNBC rivela che le cose stanno cambiando:
“Credo che in generale il sistema di rivendita standard, quello con cui abbiamo fatto business negli ultimi dieci anni, sia destinato a diventare solo una piccola parte del modo in cui faremo business da oggi in poi”, dichiara Khosrowshahi. “E questo non riguarda solo il canale diretto dell’hotel (ad esempio il sito ufficiale), ma riguarda gli hotel stessi e il modo in cui lavorano con noi.Nel futuro saremo in grado di dare agli albergatori la possibilità di fare offerte molto specifiche persino ai più piccoli segmenti di popolazione, sia che si parli di Facebook Fan che di turisti che vengono dall’Indonesia, ad esempio. Diventeremo molto più flessibili riguardo alle modalità con cui gli hotel potranno fare marketing attraverso di noi.”
Dichiarazioni importanti, che si inseriscono nel solco della “personalizzazione della prenotazione”, con condizioni, offerte e tariffe differenti secondo il momento, il target di riferimento ed una serie di altre variabili. Rate Parity: è quasi giunto il momento di scrivere la parola fine?
Qui di seguito, il video integrale dell’intervista di Khosrowshahi alla CNBC:
http://video.cnbc.com/gallery/?video=3000270602&play=1 

lunedì 19 maggio 2014

Booking.com e le recensioni verificate

Il celebre portale punta tutto sul sistema di verifica delle proprie recensioni, in base alle quali stila le classifiche delle strutture migliori

“Gente, siamo sinceri. Molte recensioni online sono pura invenzione, sia che si tratti di favole che di vendetta. Questo non succede su Booking.com.
Le nostre recensioni sono testate con la tortura e autenticate. Brutalmente oneste e scritte da clienti che raccontano esattamente come stanno le cose – stupende, pazzesche oppure no.”
Così scrivono, orgogliosamente, quelli di Booking.com riguardo alle proprie recensioni. Sembra quasi un velato attacco a Tripadvisor, che in effetti qualche problema di credibilità ce l’ha. Ma cosa rende il team del celebre portale di prenotazioni on-line così certo delle proprie recensioni? Tutto si basa, stando a quel che dicono, sulle tre R:
-  Reali: le recensioni sono scritte da utenti che hanno realmente soggiornato nella struttura
-  Rilevanti: ogni recensione è filtrabile sulla base della tipologia di cliente
-  Recenti: vengono mostrate solo recensioni scritte negli ultimi 14 mesi
Tutto molto bello, ma come viene realizzato? C’è un team apposito, i “Revenue Detective”, che si preoccupa di controllare ogni recensione. Come? Innanzitutto, vengono accettati solamente commenti inviati dallo stesso indirizzo e-mail utilizzato per prenotare attraverso il portale. Inoltre solo chi ha effettivamente soggiornato, e non solo prenotato, può lasciare una recensione. Infine, il form per i commenti è disponibile per soli 28 giorni dopo il rientro dal soggiorno, ovvero si può recensire una struttura solo se ci si è appena stati. I “Revenue Detective” affermano di aver avuto problemi con recensioni dubbie o palesemente false, e di aver tempestivamente provveduto ad eliminarle.
Un lavorone, non c’è dubbio. E quelli di Booking.com devono aver pensato che fosse il caso di darvi il dovuto risalto tramite un sito dedicato. L’indirizzo è http://www.thebookingtruth.com/: vi si trova spiegato, in inglese, il lavoro dei Revenue Detective, ma non solo: in una sezione dedicata, il nuovo portale presenta una serie di classifiche delle migliori strutture in base alle recensioni ricevute dagli utenti.
Le classifiche sono tre: per regione (Nord America, Sud America, Europa, Asia e Oceania, Medio Oriente e Africa), per tipologia di struttura (hotel, b&b, appartamenti, ville, resort, ostelli), e per tipologia di viaggiatori (singoli, coppie, famiglie, gruppi).
Nelle varie classifiche figurano undici strutture italiane, con un dato interessante: a parte una, che si trova a Roma, le altre sorgono fuori dai circuiti turistici tradizionali.
Insomma, sembra un bel lavoro. Resta un solo, piccolo problema: non è ancora possibile, per gli albergatori, rispondere alle recensioni, come invece avviene su Tripadvisor. Ma quelli di Booking.com affermano che ci stanno lavorando su. Vedremo…

Mobile e vendite on line: boom in arrivo?

Secondo eMarketer il settore delle vendite travel da smartphone e tablet negli USA registra tassi di crescita annui da doppia cifra. E continuerà a farlo nei prossimi anni

26 miliardi di dollari, con una crescita del 60% rispetto all’anno precedente. Sono le stime di eMarketer (http://www.hospitalitynet.org/news/4065214.html ) relative alle vendite nel settore travel tramite mobile nel mercato USA per il 2014. Il 2013 si è fermato a 16 miliardi, mentre sempre secondo eMarketer le transazioni tramite smartphone e tablet relative ai viaggi raggiungeranno la percentuale del 37% del totale.
Cifre importanti, insomma, che potrebbero verosimilmente replicarsi anche qui da noi. Secondo eMarketer, la chiave sta nei tassi di crescita: sebbene per il momento la percentuale di transazioni da mobile sia piccola rispetto a quella da desktop, i tassi di incremento della prima rispetto alla seconda porteranno in breve a profondi cambiamenti, come si evince dalle tabelle



















Entro il 2018, le vendite nel settore travel da smartphone e tablet costituiranno negli USA il 32,8% dell’intero ecommerce da mobile: un dato che fa riflettere.
Un ultima informazione interessante: se le cifre sono importanti, a trainarle sono i tablet. Gli smartphone vengono utilizzati al limite per acquisti last minute di piccoli importi, mentre per le transazioni importanti si utilizzano iPad e affini.

lunedì 12 maggio 2014

E Commerce e Storytelling: nasce Storytalia

E’ il progetto di Confindustria per promuovere le piccole e medie imprese del made in Italy

Il made in Italy apprezzato in tutto il mondo si basa sulle piccole e medie imprese. Che producono eccellenze non replicabili altrove, ma hanno un limite: le ridotte dimensioni rendono spesso impossibile aprire uno store monomarca a Mosca, Londra, Dubai o Sghangai.
Per ovviare a questo problema sta per nascere Storytalia, il progetto di e commerce riservato alle PMI di Confindustria. Il piano sarà dedicato ad aziende che operano nel settore agroalimentare, della moda, del design e dell’oreficeria, ed ha una particolarità: privilegerà chi, oltre ad un prodotto da vendere, ha anche una storia da raccontare.
Lo storytelling è ormai un elemento chiave del marketing digitale, e in Confindustria sono convinti che il cliente, oltre ad un prodotto di qualità, cerchi anche storie che lo accompagnino e da cui essere sedotto.
Il progetto partirà in autunno grazie alla collaborazione tra Confindustria, Poste Italiane, Unicredit, Intesa e Simest. L’obiettivo è ambizioso, perché si tratta di “esportare la dolce vita italiana presso quei 200 milioni di nuovi benestanti che ci saranno da qui al 2019 nel mondo”.
Un unico, piccolo dettaglio fa inarcare le sopracciglia: la società di gestione del portale fornirà un servizio chiavi in mano completo e finito, dalla gestione dei pagamenti on line e alle rese delle merci; il che, indubbiamente, è un bel vantaggio. Ma quanto costerà ad ogni impresa che vorrà avere il proprio spazio sul portale? dai 200 ai 300 mila euro, dicono in Confindustria.
Non proprio noccioline, insomma.

AdWorld Experience: a che punto è Google Adwords

Si è tenuto a Bologna lo scorso 30 aprile l’appuntamento annuale per fare il punto della situazione delle inserzioni pubblicitarie di Big G

Inserzioni pubblicitarie, vale la pena provarci? E’ l’eterna domanda che accompagna chi fa promozione on line per la propria struttura. Proviamo a fornire qualche elemento grazie a AdWorld Experience, l’appuntamento annuale organizzato da Google, tenutosi a Bologna lo scorso 30 aprile.
Alcuni dati: in Europa, la spesa per l’advertising on line si aggira attorno ai 36 milioni di Dollari annui. Dal 2012 al 2013 la Germania ha incrementato notevolmente la spesa per le inserzioni pubblicitarie, al contrario dell’Italia, dove si spende circa un terzo di quanto facciano i tedeschi. Le keyword, dal canto loro, stanno diventando sempre più economiche.
A proposito di keyword, una curiosità: illustrando il caso del mercato russo, è stata sottolineata l’impostanza di affidarsi ad un buon conoscitore della lingua del paese al quale sono destinate le inserzioni (meglio se madrelingua): come ben si sa, il lavoro sulle keyword è lungo e complesso, e la differenza tra una campagna fallimentare ed una di successo dipende spesso da piccole sfumature linguistiche. Per questo, è fondamentale conoscere alla perfezione la lingua nella quale si farà la propria campagna.
Un conoscitore della nazione di riferimento, inoltre, è anche informato su usi, costumi, passioni e preferenze della sua gente. Che non è detto siano gli stessi dei turisti di altre nazionalità.
Insomma, Google Adwords resta uno strumento fondamentale, sia per l’analisi della domanda, che per le inserzioni pubblicitarie. L’affacciarsi sui mercati itnernazionali di nuove realtà potenzialmente interessanti, come quella russa, araba o cinese, impone di saperlo utilizzare in tutte le lingue del mondo.
Ulteriori informazioni, anche in vista della prossima edizione, si possono trovare su http://www.adworldexperience.it/. 

lunedì 5 maggio 2014

Facebook e la guerra ai link furbetti

Il social di Zuckerberg ha recentemente introdotto una serie di modifiche che premiano i link che piacciono davvero agli utenti

Oltre un miliardo e duecento milioni di utenti, il 63% dei quali attivo quotidianamente. Sono i numeri stratosferici di Facebook, da tempo fenomeno globale che non accenna a rallentare la propria crescita.
Ma quali sono le chiavi del suo successo? Comprenderlo è evidentemente importante per chiunque faccia social media marketing, perché significa avere ben chiari i meccanismi ed i contenuti che generano interesse nelle persone. Bene, a tale scopo, può essere utile sapere che Facebook ha recentemente introdotto una serie di novità nell’algoritmo che premia o meno, in termini di visibilità, i post contenenti link che portano all’esterno.
Per comprendere bene cosa è successo, occorre fare un passo indietro. Ciò che interessa a Zuckerberg e ai suoi è, evidentemente, mantenere le persone il più a lungo possibile su Facebook. Per far questo, c’è bisogno che l’algoritmo faccia comparire nella bacheca di ogni utente i contenuti più interessanti per lui. I post che contengono link a risorse esterne sono tollerati (neanche Facebook può pretendere di essere un’isola senza collegamenti con il resto del web), a condizione che dopo aver visitato il contenuto pubblicato altrove, l’utente ritorni su Facebook.
Sulla base di queste considerazioni, il team di sviluppatori ha fatto ulteriori considerazioni sul valore del like. Il tasto con il pollice all’insù è uno degli strumenti alla base del successo di Facebook, perché è uno dei principali indicatori di quali contenuti funzionano, e quali no: un post che ottiene molti like diventa virale e ottiene visibilità, uno che non ne ottiene sparisce subito dalle bacheche. Semplice ed immediato, a prima vista. Ma a Menlo Park si sono accorti che le cose non erano esattamente così banali, e che il meccanismo poteva avere qualche problema.
Con il tempo, infatti, gli inserzionisti e i gestori di pagine si sono fatti furbi, hanno affinato le proprie armi ed hanno incominciato a confezionare link “acchiappalike”: titoli accattivanti ed immagini virali (gattini e cuccioli vari dicono nulla?) utilizzati per spingere gli utenti a cliccare sul contenuto, anche se in realtà questo aveva poco o nulla a che fare con il titolo e l’immagine, nient’altro che specchietti per le allodole.
Come fare, si sono chiesti a Menlo Park, per smascherare questi contenuti “acchiappalike” e ridare al tasto con il pollice all’insù il suo originario valore? C’è un unico modo: osservare il comportamento delle persone prima, durante e dopo la visualizzazione del contenuto in questione. In altre parole: se un utente clicca su un articolo de “Il Sole 24 Ore” ogni volta che gliene compare uno in bacheca, ed ogni volta resta per un po’ su link prima di tornare su Facebook (cioè presumibilmente legge l’articolo) l’algoritmo deduce che a quell’utente interessano gli articoli de “Il Sole 24 Ore”, quindi tenderà a fargliene comparire di più in bacheca. Se, al contrario, un link ottiene un gran numero di click, ma un’alta percentuale di utenti torna su Facebook subito dopo, il sistema intuisce che si tratta di un link “acchiappalike”, e lo penalizza.
Riguardo ai like: se un grande numero di persone, dopo aver letto il contenuto del link, torna su Facebook per cliccare mi piace, significa che il post è stato realmente apprezzato, e a questo punto l’algoritmo lo premierà donandogli visibilità. Il contario, se i like sono molto pochi. Lo stesso meccanismo che funziona per il tasto “mi piace” vale, ovviamente, anche per il “condividi”.
C’è un ultimo comportamento, poi, monitorato da Facebook per personalizzare i contenuti e mostrare ad ogni utente ciò che gli interessa di più: il caso di chi mette “mi piace” ad un link esterno senza prima averci cliccato su, ovvero senza averlo letto. In questa circostanza, Zuckerberg e i suoi ipotizzano che per quell’utente, quella fonte sia talmente affidabile o interessante da meritarsi un like a scatola chiusa. Ciò potrebbe valere, per esempio, per un fedele lettore de “Il Sole 24 Ore” di fonte ad un articolo sull’Euro, come per un fan di Promozione Turistica Blog davanti ad un articolo che parla di Facebook (sarebbe bello), oppure, perché no, potrebbe valere anche per un affezionato cliente di una struttura turistica di fronte al contenuto pubblicato sulla Pagina Fan della struttura stessa.
Insomma, ogni cosa, nel nuovo algoritmo, è volta ad un unico obiettivo: mantenere gli utenti su Facebook il più a lungo possibile, mostrando ad ognuno i contenuti più interessanti per lui. Ogni volta che si accede al social in blu, il sistema deve scegliere tra circa 1500 contenuti quale far comparire per primo in cima alla bacheca. E Will Cathcart, responsabile del team di gestione del prodotto che lavora sulla newsfeed degli utenti, spiega: “per noi il test perfetto sarebbe farti sedere a guardare 1500 post possibili e chiederti di metterli in ordine secondo cosa trovi più importante per te. L’obiettivo perfetto sarebbe quello”. I nuovi algoritmi lavorano proprio per simulare quella che sarebbe la scelta dei singoli utenti.
Bene: ma perché tutto questo dovrebbe interessare a chi fa social media marketing per la propria struttura? Il motivo appare evidente: conoscere i meccanismi attraverso i quali Facebook seleziona i contenuti da premiare in termini di visibilità, e quelli invece da bocciare facendoli sparire, è fondamentale per capire cosa pubblicare sulla propria Pagina Fan. Tenendo bene a mente che i link “acchiappalike” furbetti avranno vita sempre più difficile e che, al contario, verrano premiati sempre più i contenuti di qualità. Gestore avvisato…






Pinterest: come usarlo al meglio per fare social media marketing

Il social dei desideri possiede alcune caratteristiche che lo rendono perfetto per promuovere la nostra struttura.

Ormai non è un novità: Pinterest è il social più “rosa” che ci sia (le donne sono circa il 70% degli utenti), ed è anche quello che spinge di più ad effettuare acquisti on-line.
Ma come fare per ottimizzarlo al fine di promuovere la nostra struttura turistica? Ecco qui alcuni consigli:
- Innanzitutto, è fondamentale aggiungere il pulsante “pin it” alle pagine del proprio sito web, e ovunque ve ne sia la possibilità: è l’equivalente del widget di Facebook, ed è uno strumento fondamentale.
- E’ importante poi collegare l’account Pinterest a quello degli altri social, in modo che ogni contenuto pubblicato qua sia visibile anche dove è presente una platea più vasta.
- Come sempre, è di vitale importanza pubblicare contenuti negli orari giusti: per Pinterest, questi sono il primo pomeriggio, dalle 14:00 alle 16:00, e la sera, dalle 21:00 all’1:00 di notte.
- Altrettanto fondamentale è usare le parole chiave nei titoli dei pin, nel nome delle immagini e nella descrizione. In quest’ultima può essere utile utilizzare una call-to-action (per esempio una richiesta di repin): è stato calcolato che pin con call-to-action ottengono un engagement fino all’80% superiore rispetto a quelli che ne sono sprovvisti.
- Come sempre sui social, infine, è bene evitare di sembrare uno spammer: non inserire solo link al proprio sito, o solo promozioni, non pubblicare troppe immagini per volta, non sbagliare categoria.
Queste, ovviamente, sono solo alcune idee per utilizzare al meglio Pinterest per promuovere la propria struttura turistica. Come al solito, non resta che provare e sperimentare per farsene venire altre.